Premesso che non ho competenze relative alla legislazione italiana, ti consiglierei di chiedere a un avvocato specialista di e-commerce e servizi digitali.
Da modesto utente di internet, quello che ti hanno detto mi sembra un'assurdità, ma proprio a livello di concetto.
Un sito non è altro che un insieme di testi salvati su un computer collegato a una rete. La natura stessa di internet sfugge a ogni tentativo di limitarne l'uso, come si è visto in mille occasioni.
Ti faccio un esempio: tutti i file su cui stai lavorando su Google Drive hanno un'opzione chiamata "Condividi pubblicamente" che - di fatto - assegna a un qualsiasi documento un URL univoco. Quindi - strictu sensu - anche quello è un sito. Non puoi fare clic su quel pulsante se non hai partita IVA?
Il nocciolo della questione è l'uso che fai del sito: se stai vendendo servizi o prodotti direttamente, cioè se avviene una transazione, è ovvio che dovrai attenerti alle leggi in materia di commercio vigenti nel tuo paese. Ma se il sito è una semplice vetrina, sfido il tuo commercialista a far sì che un giudice stabilisca la chiusura del sito per mancanza di partita IVA. IVA su cosa, oltretutto?
Il commento, amarissimo, a margine, è che se l'iniziativa privata viene ostacolata in questo modo luddista e retrogrado, l'Italia non ha molto futuro davanti. A prescindere dal fatto che il commercialista abbia ragione o meno. Anzi, se il commento risulta poi fondato, direi che la situazione è ancora più frustrante e avvilente.